Bond - La forbice di Trump conta più dei suoi dazi
Se i conti pubblici degli Stati Uniti miglioreranno per effetto del taglio costi ordinato da Trump, i bond saranno i primi beneficiari

Fatto
I tanti che aspettano l’annuncio delle cedole del nuovo BTP Più per decidere sulla convenienza dell’investimento, fino a venerdì 17 febbraio, non dovrebbero perdere di vista in questi giorni gli elementi che guidano i corsi delle obbligazioni nel mondo. Saranno queste stesse forze, quelle che muovono le enormi masse di liquidità in giro per il pianeta, a essere tenute in considerazione dai dirigenti del Tesoro chiamati a fissare i termini definitivi del nuovo titolo per il retail.
La posta in gioco è ancora più alta del solito perché il MEF, concedendo a chi sottoscrive nel periodo di emissione dal 17 al 21 febbraio il diritto di dare indietro il titolo alla pari dopo quattro anni, si prende in carico il rischio di un andamento dei tassi sfavorevole. Più che in passato, è opportuno seguire cosa sta muovendo il mercato delle obbligazioni. I fattori sono tanti e non sempre semplici da comprendere, il più importante è Donald Trump.
Quel che Trump ti può dire del BTP Più
Nel fine settimana il presidente degli Stati Uniti ha tuonato sui dazi, è tornato a chiedere ai canadesi di diventare statunitensi, ha avviato le pratiche per cambiare il nome del Golfo del Messico e ha anticipato la fine della guerra in Ucraina. Il mercato delle obbligazioni si è limitato a prendere atto in attesa di un passaggio dai proclami agli atti esecutivi: il Treasury Note a dieci anni se ne sta tranquillo intorno a 4,50% di tasso di rendimento, il BTP è al 3,46%.
Le forbici di Trump contano più dei suoi dazi
Se gli investitori non si allarmano è anche perché la nuova amministrazione della Casa Bianca sta iniziando a muoversi sul contenimento della spesa pubblica. In tre settimane, da quando ha iniziato a lavorare di forbice, il Dipartimento dell’Efficienza del Governo (DOGE) ha fatto sapere ieri su X di aver identificato e tagliato più di 1 miliardo di dollari di spesa. La cifra è modesta, se la si confronta con i duemila miliardi di cui ha parlato il responsabile del programma, Elon Musk. Dall’altra parte, mostra che la macchina ha iniziato a lavorare.
Il Wall Street Journal riporta che i programmi di spesa ridimensionati o azzerati sono relativamente piccoli, essendo legati alla spesa per la promozione della diversità, equità e inclusione nei posti di lavoro. Nel giro di qualche giorno però, il gioca di farà duro, perché il DOGE metterà nel mirino voci di spesa giganteschi.
Meno sprechi al Pentagono
“Elon sta facendo un ottimo lavoro. Sta scoprendo una frode tremenda, corruzione e spreco", ha detto Trump venerdì. Spazio per tagliare sembra essercene: il Congressional Budget Office calcola che il governo federale spenderà 7 trilioni di dollari nell'anno fiscale al 30 settembre.
Di questa cifra, la previdenza sociale ne vale circa 1,6. A seguire, Medicare – un programma sanitario per anziani gestito dal governo – 910 miliardi di dollari. Ci sono poi 950 miliardi di dollari di interessi sul debito, di cui si occupa soprattutto il Segretario al Tesoro Scott Bessent. Le spese militari assorbono circa 850 miliardi di dollari e di recente, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth ha detto che nei prossimi anni, “è ragionevole” ipotizzare una spesa pari al 3% del Pil, poco meno di un miliardo di dollari.
Nel suo show durante la conferenza stampa congiunta con il premier giapponese Shigeru Ishida, Trump ha avvertito venerdì che il DOGE sta per entrare al Pentagono. Questo genere di commenti non sono nuovi, cose del genere Trump le aveva dette in campagna elettorale, infatti, le società beneficiarie della spesa per la difesa sono in ribasso dal giorno delle elezioni presidenziali: LH Harris -18%, General Dynamic -14%, Northrop -9%.
Il mercato ha quindi messo in conto un miglioramento dell’efficienza nella spesa per l’acquisto di armi, con ricadute negative per i venditori e un risparmio per il governo. Se i conti pubblici degli Stati Uniti addirittura miglioreranno, il contrario di quel che si è temuto a cavallo d’anno, se davvero il deficit/Pil scenderà sotto il 3%, a fronte di una crescita del 3% che non genera spinte inflazionistiche, i bond ne saranno tra i primi beneficiari.
Effetto
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