Groenlandia, l'Europa reagisce a Trump
Nei giorni scorsi, il tycoon ha dichiarato di voler annettere la Groenlandia agli Stati Uniti, se necessario anche con la forza, provocando vivaci reazioni

L’Europa ha risposto “a tono” alle minacce espansionistiche di Donald Trump sulla Groenlandia, territorio posto sotto il controllo della Danimarca, quindi parte dell’Unione Europea.
Il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, durante una conferenza a Parigi, ha detto che l’Unione non permetterà ad altri Paesi di “violare i suoi confini sovrani”.
Perché Trump vuole la Groenlandia
Nei giorni scorsi, il tycoon ha dichiarato di voler annettere la Groenlandia agli Stati Uniti, se necessario anche con la forza, provocando vivaci reazioni.
Le mire del neoeletto presidente Usa hanno alla base solide motivazioni economiche. Infatti, la Groenlandia è ricca di materie prime, come terre rare, petrolio e gas, ma anche oro e rubini.
Le terre rare sono elementi chimici necessari non solo per la fabbricazione di smartphone, tablet ed altri elettrodomestici, ma anche per la transizione energetica e la produzione di equipaggiamenti militari.
La Groenlandia possiede 25 delle 34 materie prime indentificate dalla Commissione Europea come rilevanti per l’industria e la transizione verde.
Questi elementi hanno quindi una forte valenza geopolitica, in quanto sinora la Cina fornisce il 90% della produzione globale di terre rare. L’obiettivo di Trump è quindi chiaro: svincolarsi completamente da Pechino.
Il valore della Groenlandia è ulteriormente accresciuto dai recenti mutamenti climatici. Infatti, lo scioglimento dei ghiacci rende più facile l’esplorazione e la ricerca di questi materiali.
A chi appartiene la Groenlandia
C’è inoltre un altro motivo che sostiene i propositi di Trump sull’isola ed è tutto tattico-politico. All’inizio dell’anno, il premier Múte Egede ha dichiarato che a breve potrebbe essere indetto un referendum per l’indipendenza.
Dopo alterne vicende, nel 1953 la Groenlandia è infatti tornata sotto il controllo della Danimarca, non più come colonia, ma come contea d’oltremare.
Trump e il controllo del canale di Panama
Trump ha rivendicato anche la sovranità sul Canale di Panama, fondamentale per il passaggio delle merci, in quanto collega direttamente l’oceano Atlantico con il Pacifico.
Costruito all’inizio del Novecento, il canale fa risparmiare molto tempo alle navi mercantili, che altrimenti dovrebbero circumnavigare Capo Horn, l’estrema punta meridionale del Sudamerica, per passare da una costa all’altra degli Stati Uniti.
Dal canale passano 14 mila navi all’anno, ovvero circa il 6% degli scambi globali via mare.
Gli esordi del canale non sono stati facili. Infatti, agli inizi della sua costruzione, fu oggetto di contesa con la Colombia, che allora ricomprendeva anche Panama.
Il canale ora appartiene allo Stato di Panama, grazie ad un accordo siglato negli anni Settanta dal presidente Usa, Jimmy Carter, appena scomparso. “Dare via il Canale di Panama fu un grosso errore” è questo il recente commento di Trump.
Le borse reagiscono alle dichiarazioni di Trump
La strategia espansionistica di Trump rientra nel suo progetto “America First”, che dal punto di vista del Tycoon non significa solo isolazionismo, ma soprattutto anteporre l’interesse e la sicurezza degli Stati Uniti sopra ogni altro aspetto.
E’ in quest’ottica che vanno letti anche i propositi di introdurre i dazi, che già hanno avuto ripercussioni sulle borse.
Il grafico sottostante, tratto da Bloomberg Intelligence, evidenzia come l’annuncio di queste politiche stia mettendo in ansia gli investitori, che paventano una possibile ripresa dell’inflazione.
Effetti sulla politica monetaria della Fed
Questi fattori potrebbero spingere la Fed a contenere il taglio dei tassi, come emerge anche dai verbali della riunione dello scorso dicembre, usciti l’8 gennaio 2025. Senza dirlo esplicitamente, i membri della Banca Centrale temono una ripresa dell’inflazione a causa dei dazi.
Anche per questo motivo, il Governatore Jerome Powell ha dichiarato che nel 2025 i tagli saranno solo due invece dei quattro pronosticati a settembre.
Oltre ai dazi, anche il contenimento dell’immigrazione promesso da Trump potrebbe avere effetti inflazionistici. Infatti, la diminuzione di manodopera disponibile potrebbe spingere al rialzo i salari.
Come si vede dalla tabella di Bloomberg, i proclami trumpiani hanno sostenuto il dollaro, che dal 7 dicembre 2024 all’8 gennaio 2025 ha guadagnato il 5,9% contro euro.
Un altro contraccolpo, questa volta negativo, è visibile sui rendimenti dei bond, dove il Treasury decennale ha raggiunto il rendimento più alto da aprile.