BOND EURO - Il Bund è stanco, il BTP si avvicina, lo spread scende

Il differenziale scende oggi a 116 punti base. Per trovare un valore così basso si deve tornare a fine 2021, in un contesto dei tassi completamente diverso e con un altro governo a Palazzo Chigi.

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Fatto

Sul mercato secondario delle obbligazioni governative l’Italia tira più della Germania: il differenziale tra il Bund e il BTP decennale scende oggi a 116 punti base.

Per trovare un valore così basso si deve tornare al novembre del 2021, in un contesto dei tassi completamente diverso e con un altro governo a Palazzo Chigi.

Per i tifosi della politica, si potrebbe segnalare che i massimi di lungo periodo del differenziale, a 256 punti base, sono stati toccati proprio nei giorni di avvio della XIX legislatura: dal giuramento di Giorgia Meloni in avanti la discesa è stata continua.

Difficile dire quanto possa valere il presunto “effetto Meloni”, in termini di stabilità dell’esecutivo, di decisioni rigorose sui conti pubblici italiani e di forte ricorso alla platea retail per quanto riguarda il collocamento di prestiti, ma qualche decina di punti percentuali non sembra un’ipotesi azzardata.

La politica italiana c’entra, ma non è l’aspetto più rilevante, c’è infatti un elemento nuovo nel movimento degli ultimi mesi: è la carta tedesca a perdere terreno, sia nei confronti dell’Itala, che di tutta la Periferia dell’Europa. 

Insomma, il problema è la Germania, messa alle corde più di altre dalla crisi del gas russo e oggi con un’economia stagnante.

Lo spread Bund-Bono è sceso a 78 punti base, minimo degli ultimi due anni, il differenziale con la carta della Grecia è su livelli che non si vedevano dal 2008.

Da inizio anno il future Bund perde circa il -4%, mentre il future del BTP è più o meno sui livelli di fine dicembre 2023.

Poche volte, negli ultimi decenni si è vista una divaricazione simile, che sta succedendo?

Antonio Cesarano, il chief global strategist di Intermonte , segnala che ci stiamo avvicinando alle prese di posizione delle agenzie di rating: venerdì parla Fitch ed a breve distanza c’è Moody’s.

Forse è solo “tintinnar di sciabole”, ma oggi si può dire che il mantenimento della tripla A da parte tedesca non è più una solida certezza. 

Dalla parte della germania c’è un quadro di debolezza, dalla parte italiana ci sono invece i clamorosi successi dei BTP Valore e la possibilità di un programma di sostegno del Tesoro da far partire quando si ridurranno gli acquisti della BCE. Il secondo è qualcosa di più di una semplice ipotesi: non ci sono comunicati o affermazioni precise, ma le mosse di via XX Settembre parlano per il ministro Giancarlo Giorgetti

I proventi delle privatizzazioni annunciate a inizio anno, circa 20 miliardi di euro, vanno infatti obbligatoriamente a finire nel Fondo ammortamento per la riduzione del debito, uno strumento istituito nel 1993 dal primo dei governi tecnici dell’Italia, quello di Carlo Azeglio Ciampi.

Tra riacquisti di carta in circolazione e rimborsi, dalla sua nascita il fondo ha fornito 154 miliardi di euro. 

Se il piano di privatizzazione procederà come da programma, secondo Giorgetti una parte delle risorse potrebbero arrivare già nella seconda parte dell’anno, il Tesoro potrebbe così avere a disposizione una potenza di fuoco pari a circa l’1% del Pil.

La cifra da impiegare in rimborsi e riacquisti potrebbe sembrare modesta, se il confronto è con i novanta-cento miliardi di euro di spese annue per interessi che l’Italia, secondo Scope Ratings, dovrà pagare nei prossimi anni.

Se invece si guarda agli interventi del fondo nella storia, le cose cambiano di parecchio. Nel caso di utilizzo per dieci miliardi da qui a fine anno, quindi la metà di quel che dovrebbe arrivare dalle privatizzazioni, il 2024 diventerebbe l’anno con l’impiego più elevato degli ultimi vent’anni.

C’è poi l’effetto sorpresa: il mercato non sa quando e come il Tesoro giocherà le sue carte, ma sa che qualcosa Giorgetti ha in mano.

Giusto ieri, Eni ha fatto sapere di aver concluso il programma di buyback lanciato lo scorso maggio, acquistando azioni per un controvalore di circa 2.2 miliardi di euro. Si vengono così a creare le condizioni perché il governo - che possiede circa il 32,4% di Eni, attraverso il 27,7% detenuto da Cassa Depositi e Prestiti e il 4,7% in mano al Tesoro - possa tagliare la sua partecipazione.

L'operazione potrebbe ridurre il debito pubblico italiano di circa 1,5 miliardi di euro. L'acquisizione e l'annullamento delle azioni da parte di Eni dovrebbe portare la partecipazione totale del governo sopra il 33%, creando un margine di manovra per l'azionista pubblico che potrebbe limare la partecipazione senza scendere al di sotto del 30% del capitale, tenendo conto della quota di Cdp.

L'assemblea degli azionisti ha dato al Cda il potere di cancellare le azioni anche gradualmente e prima del raggiungimento del tetto massimo dei titoli acquistabili.

Effetto

Analisi tecnica BTP 10 anni. Prosegue il recupero in termini relativi dei BTP. Scattato un bel segnale di forza sul decennale con la discesa sotto il …

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