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Il bond che ti premia subito: tasso fisso 8,25% nei primi due anni

Il 2023 si chiuderà come l’anno dei bond in termine di nuove emissioni e raccolta. Il forte rialzo dei tassi ha spinto infatti governi e società corporate a emettere grandi quantità di obbligazioni. La domanda di questo prodotto finanziario è diventata fortissima, basti pensare alla raccolta del MEF con gli ultimi due BTP valore: a ottobre oltre 17 miliardi e a giugno oltre 18 miliardi. L’aumento dell’appeal dei bond è testimoniato anche dai dati di Borsa Italiana, che evidenziano nei primi nove mesi dell’anno l’ammontare complessivo di volumi scambiati sul segmento Fixed Income di Borsa Italiana a oltre 160 miliardi di euro, superiore a quello registrato nel 2021 e in linea con quanto registrato nell’intero 2022. Se mettiamo a confronto il periodo gennaio-settembre 2023 con il pari periodo dello scorso anno, la crescita dei volumi è stata addirittura di oltre il 60%.

E del resto, con i tassi su livelli che non si vedevano dal 2012, gli occhi degli italiani tornano a brillare per questa asset class, con tutte le ragioni del caso. Una asset class che con molta probabilità continuerà ad accompagnare l’investitore anche nel prossimo futuro, viste le posizioni prese dalle diverse banche centrali con la strategia high for longer, ovvero di tassi mantenuti su questi livelli ancora per diverso tempo. Detto questo però non bisogna mai dimenticare la “formula magica”, sempre valida sui mercati finanziari, ovvero quella della diversificazione. È bene avere un paniere di obbligazioni diversificate non solo per tipologia, ma anche per scadenza ed emittente. Focus sui titoli governativi italiani, ma senza dimenticare quelli corporate, soprattutto i bancari, più sicuri quando senior. Le banche, infatti, stanno lanciando tantissimi Bond con pricing molto competitivi ed oggi vi vogliamo parlare dell’ultima emissione targata Societe Generale. Emissione alla quale siamo orgogliosi di aver contribuito.

Il Bond ambizioso paga una cedola a tasso annuo fisso dell’8,25%, poi variabile

L’emittente francese, infatti, ha lanciato il nuovissimo Bond Callable Tasso Misto in Euro a dieci anni ISIN XS2699558305 in collaborazione con Intermonte. L’obbligazione è pensata per cavalcare le attese del mercato sul futuro dei tassi. Paga una cedola a tasso fisso nei primi due anni e nei successivi otto cedole ad un tasso variabile. Per i primi due anni a tasso fisso il bond premia l’investitore con l’8,25% lordo annuo, pagato in un’unica soluzione al termine dei due anni, per un cedolone pari al 16,5% lordo, pagato a novembre 2025 (13 novembre 2025). A partire dal terzo anno il prodotto paga cedole trimestrali variabili lorde legate al tasso di riferimento Euribor 3 mesi, con valore minimo 0% e valore massimo 5% (floor e cap). Il bond prevede anche, dal termine del secondo anno, la possibilità di richiamo anticipato ogni trimestre con rimborso del 100% del valore nominale a discrezione dell’emittente. In assenza di rimborso anticipato, il bond pagherà a scadenza (14 novembre 2033) il 100% del valore nominale (taglio minimo 1.000 euro). Il prodotto è denominato in euro e il prezzo d’emissione è pari a 1.000 euro (100% del valore nominale). Il bond è regolarmente quotato su EuroTLX di Borsa Italiana. Vi ricordiamo che in caso di vendita anticipata prima dei due anni vi verrà comunque riconosciuto il rateo di interesse accumulato durante il periodo di detenzione del titolo, con riferimento al tasso dell'8,25% annuo lordo. 

Precisiamo che la cedola variabile è calcolata moltiplicando il valore nominale per un tasso variabile così determinato: si considera il tasso di riferimento (Euribor 3 mesi) rilevato due giorni lavorativi prima della data di pagamento della cedola precedente.

L’obbligazione è emessa da SG Issuer con la garanzia di Societe Generale che attualmente gode di un rating A1 (Moody's) / A (Standard & Poor's) / A (Fitch). Parliamo quindi di una banca europea a rating elevato e di alto standing.

Alcune scelte nella struttura sono giustificate da logiche ben precise. Ad esempio, la scelta di mettere il cap al 5% per la gamba variabile (inferiore rispetto ad alcune emissioni recenti) è servita ad alzare il rendimento il più possibile nei primi due anni. Infatti, come vedremo dall’intervista ad Antonio Cesarano, le attese sono di maggiore incertezza sui tassi nei prossimi due anni. Poi si dovrebbe assistere ad una graduale stabilizzazione del mercato obbligazionario. Inoltre, come si evince dal grafico sotto, effettivamente, negli ultimi 23 anni, l’Euribor 3 mesi è andato solo due volte poco oltre il 5%, con la crisi dot.com e con quella di Lehman Brothers (vedi grafico sotto). Due casi estremi di stress del mercato.

Per meglio comprendere il perché di questa struttura, rivolgiamo alcune domande al nostro Chief Global Strategist Antonio Cesarano.

Antonio, qual è la ratio che vi ha portato a preferire questo tipo di struttura?

È una struttura che tiene conto del fatto che abbiamo davanti a noi anni d’incertezza su come potrà evolvere l’inflazione, e con essa i tassi. Il Bond punta, infatti, a massimizzare il rendimento nell’immediato. Poi, quando il quadro è atteso stabilizzarsi, lascia al tasso variabile performare.

Sono almeno quattro, infatti, i fattori d’incertezza che favoriscono una struttura ad alto rendimento nei primi due anni: l’esito delle negoziazioni salariali in USA, con possibili risvolti importanti anche per l’Europa, le tensioni geopolitiche, il ritmo della prosecuzione della transizione energetica e l’impatto della demografia.

Sul primo punto, ricordiamo che si stanno chiudendo gli accordi salariali in USA nel comparto automotive e non solo, con rialzi dei salari. Questo potrebbe avere risvolti su un aumento generalizzato dei prezzi dei prodotti di questo settore e anche di altri qualora questa decisione si dovesse allargare anche ad altri comparti industriali. Il tutto con potenziale impatto rialzista sull’inflazione. Per ora, questa dinamica, non sta influenzando le negoziazioni salariali in Europa che procedono in maniera più pacata, ma tutto è ancora in divenire.

Sulle tensioni geopolitiche il culmine potrebbe essere proprio tra il 2024 ed il 2025. Il 2024 sarà un anno importante sul fronte elettorale: Taiwan già a gennaio 2024, poi le elezioni europee a giugno e a novembre quelle USA. E viste le premesse di quest’anno con due fronti aperti, Ucraina e Medio Oriente, dove tutto purtroppo è ancora possibile, un intensificarsi delle tensioni tra blocco occidentale e filocinese potrebbe portare a nuove guerre commerciali tra le parti con impatti anche forti su materie prime.

Alle elezioni europee e statunitensi rimane anche molto legato il tema della transizione energetica. In funzione di chi vincerà potrebbe esserci un’accelerazione o rallentamento della transizione energetica, con risvolti potenzialmente importanti sull’inflazione.

Per quanto riguarda la demografia invece, ricordiamo che nel decennio pre-pandemia l’invecchiamento della popolazione ha impattato in termini di contenimento dell’inflazione. L’invecchiamento della popolazione in prima battuta si traduce infatti in un calo dei consumi a vantaggio dei risparmi. La pandemia ha mescolato le carte, andando ad intaccare il tasso di partecipazione al lavoro. Ad esempio, negli USA nella fase post pandemica, posto pari a 100 il numero di persone oltre i 55 anni che possono andare a lavorare, sono tornati a lavorare meno di quelli ricompresi nella forza lavoro. La carenza di offerta di lavoro rispetto alla domanda ha contribuito all’aumento dei salari. Questo è un fenomeno molto legato anche alle politiche di sussidio e bonus lanciate durante e dopo la pandemia, ed è probabile che almeno parzialmente possa rientrare visto che, poco alla volta, i Governi stanno eliminando questi sussidi. Quale sarà il nuovo livello di equilibrio? Difficile dirlo, ma probabilmente siamo di fronte ad alcuni fattori strutturali. Nel breve ad ottobre l’inflazione Euro ha registrato un netto calo perché il confronto anno su anno è stato molto favorevole. Questa dinamica potrebbe durare ancora per qualche mese e dalla seconda parte del 2024 in avanti si vedrà quale sarà il vero punti di equilibrio. Considerazioni in merito all’impatto della transizione energetica, alla geopolitica e alla progressiva minore offerta di lavoratori a causa del citato invecchiamento, lasciano ipotizzare un’inflazione di equilibrio nei prossimi 5 anni ed oltre, superiore al 2% attualmente target di BCE e Fed. Il livello ipotizzabile potrebbe essere almeno 1% sopra tale livello, ossia intorno al 3%, ma come precisato, molto dipenderà dalla velocità ed intensità di alcuni dei trend citati tra cui, in primis, l’implementazione della transizione energetica oltre che l’evoluzione del quadro geopolitico.

Se a tutto ciò aggiungiamo che le banche centrali hanno chiaramente detto e confermato le intenzioni di mantenere tassi alti a lungo, appare chiaro che i prossimi due anni non saranno ricchi d’incertezza. Per cercare di tenere in considerazione tali fattori di incertezza nei prossimi due anni prima dell’eventuale approdo ad un punto di stabilizzazione, poter beneficare di tassi relativamente alti (8,25% nel caso del bond di Societe Generale) su tale orizzonte temporale potrebbe rappresentare un fattore protettivo.

Perché un cap al 5% sulla gamba variabile?

Superato il periodo di tensioni e incertezza che potrebbe protrarsi fino al 2025, potremmo avere maggior chiarezza sulla transizione energetica e sull’impatto delle tematiche geopolitiche. In questa fase le banche centrali potrebbero optare per una revisione al rialzo del target d’inflazione. Cosa che ora con l’inflazione così alta non possono permettersi, per evitare di incidere fortemente al rialzo sulle aspettative di inflazione. Il target di inflazione potrebbe essere alzato dal 2% al 3 o 4%. In uno scenario sì fatto un cap al 5% della gamba floater dovrebbe bastare a contenere l’impatto che l’inflazione mediamente più alta avrà sui tassi.

Perché non sopra il 5%?

Le economie globali dopo la pandemia e la guerra escono molto più indebitate e crescono meno. Gli stati non possono reggere tassi troppo alti a causa del conseguente forte rialzo del costo del debito. Le banche centrali saranno dunque chiamate a gestire la situazione mantenendo i tassi su livelli compatibili anche con le finanze pubbliche. Da qui la preferenza a tenere il cap più basso ma comunque su un livello compatibile con lo scenario inflattivo/tassi prospettico, a favore di un tasso più elevato nei primi due anni.

Cosa ci dice la curva forward dell’Euribor tre mesi?

Per la gamba variabile, quindi il periodo che va dal terzo all’ottavo anno del Bond di Société Générale, i tassi attualmente attesi dal mercato sono compresi tra il 3 e il 3,5%. Con la rilevazione per il pagamento del tasso trimestrale, si riesce a seguire in modo più tempestivo eventuali rialzi dei tassi. Sotto il grafico dell’Euribor 3M Forward.

 

Perché il tasso Euribor è stato scelto come parametro per il variabile?

Il tasso Euribor 3M è quello canonicamente utilizzato anche perché approssima il tasso sui depositi della BCE. Quest’ultimo è diventato progressivamente il vero tasso di riferimento per la BCE, dopo l’introduzione di numerose manovre di espansione della liquidità tramite le operazioni LTRO/TLTRO. Il tasso sui depositi presso la BCE è attualmente al 4%, come pure di fatto il tasso euribor 3 mesi che lo approssima molto bene. In questo modo seguiamo 1 a 1 quelle che sono le manovre della BCE sul tasso sui depositi che è quello che il mercato guarda maggiormente.

 

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Responsabile Soluzioni di Investimento ed Analista Tecnico



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