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  Il Certificate sull'S&P 500: barriera al 50% e premi incondizionati

Una scommessa a basso rischio sulla Borsa americana. Si può riassumere così il certificato Fixed Coupon ISIN IT0006753161 di Marex con sottostante l’S&P500, l’indice più rappresentativo della Borsa americana e uno dei più efficienti al mondo. Due giorni fa, il 13 febbraio 23, il prodotto ha pagato la prima delle 16 cedole incondizionate che distribuirà nell’arco dei quattro anni di vita. Qualsiasi cosa succeda, il Fixed coupon ogni tre mesi verserà ai sottoscrittori un premio da 11,75 euro, pari all’1,175% del suo valore nominale (1.000 euro). Il rendimento annuo garantito è del 4,7% con le cedole utilizzabili per compensare le eventuali minusvalenze in portafoglio.

Viene subito da chiedersi dov’è il trucco. Se la cedola è garantita, ragiona l’investitore esperto, il rischio si annida in qualche altra caratteristica del prodotto. E ha ragione. Ma è un rischio di proporzioni contenute a fronte di un rendimento in grado di superare l’inflazione prevista per i prossimi quattro anni.

Barriera al 50% solo per il rimborso del capitale

Il rischio è rappresentato da una barriera a scadenza al 50% valida solo per il rimborso del capitale. In pratica, se il 2 novembre 2026, data della scadenza finale del prodotto, l’indice S&P500 avrà perso il 50% o più dal Valore iniziale, l’investitore sarà rimborsato con un valore proporzionale alla performance del sottostante. Quindi, nell’ipotesi in cui l’S&P500 accusasse un ribasso del 55% rispetto al valore del 2 novembre 2022 (data del fixing iniziale), l’investitore riceverà 450 euro (45% del valore nominale). Se la perdita dovesse essere del 70%, il rimborso sarebbe di 300 euro (30% del valore nominale).

Attenzione, però, perché questo meccanismo in realtà rappresenta una grande protezione al capitale investito. Infatti, fino a un ribasso del 49% dell’S&P500 l’investitore verrà rimborsato con 1.000 euro (il 100% del valore nominale) dopo avere incassato tutte le cedole previste.  

I peggiori ribassi dell’S&P 500 negli ultimi 40 anni

La domanda da farsi, quindi, è quante possibilità ci sono che nei prossimi tre anni e nove mesi (fino al 2 novembre 2026) la Borsa americana subisca una perdita del 50%. Diciamo subito che un evento del genere negli ultimi 40 anni non è mai successo. Dal 1983 a oggi il grafico dell’S&P500 segnala tre grandi fasi di ribasso, con cadute drastiche delle quotazioni in un arco di tempo ridotto.

  • La prima prende il via con la crisi delle dot.com nell’estate 2000 e si acuisce con l’attacco alle Twin Towers di New York del settembre 2001: in poco più due anni, dall’agosto 2000 all’ottobre 2002 l’indice principale della Borsa americana passa da 1.490 punti a 800 punti con una perdita del 46%. Nell’agosto 2004, dopo quattro anni dall’avvio della crisi, l’S&P500 era già risalito a 1.100 punti e quindi aveva ridotto il calo al 26%.
  • La seconda grande caduta della Borsa americana è legata allo scoppio della crisi dei subprime e al fallimento di Lehman Brothers. Nel luglio 2007 l’S&P500 veleggiava su un massimo di 1.550 punti e un anno e mezzo dopo, nel febbraio 2009, era sprofondato a un minimo di 735 punti, con una caduta del 52%. Attenzione, però, perché se guardiamo la performance dell’indice in quattro anni dallo scoppio della crisi il quadro è ben diverso: infatti nel febbraio 2009 la Borsa americana iniziò a riprendersi e nel luglio 2011 l’S&P500 era già risalito a quota 1.316, quindi aveva ridotto la perdita a solo il 15%.
  • Infine c’è la crisi del Covid del febbraio 2020, quella in cui il grafico dell’indice precipita in maniera quasi verticale con una perdita del 32% in poco più di un mese. In questo caso tanto veloce è stato il crollo, tanto rapida è stata la ripresa con l’S&P500 che già ad agosto 2020 aveva azzerato le perdite.

Illustrati questi casi della storia recente, c’è fa fare una precisazione in merito al certificate Fixed Coupon IT0006753161 di Marex. Oggi per arrivare a toccare la barriera fissata a quota 1.879,845, l’S&P500 dovrebbe scendere non del 50% ma del 54%. Infatti, da quando è stato emesso il certificate l’indice della Borsa americana è salito del 10%. Se consideriamo poi che l’S&P 500 viene già da un bear market che gli è costato oltre il 20% dal massimo di inizio 2022 fino al minimo di ottobre 2022, la statistica sembra ancora più favorevole a questo prodotto.

Tutti i numeri del certificate Fixed Coupon IT0006753161 di Marex

Nella tabella qui sotto riassumiamo i dati principali del certificate Fixed Coupon IT0006753161 di Marex. Il Valore iniziale (fixing) è la chiusura dell’indice S&P500 del 2 novembre 2022.

Sul mercato segnali contraddittori

Fare previsioni su come si muoveranno i mercati finanziari nei prossimi quattro anni è un esercizio molto pericoloso. Nei giorni scorsi il Sole 24 Ore ha sottolineato che la situazione appare per molti versi contraddittoria, con la coesistenza di segnali positivi e segnali negativi. I mercati riescono a prevedere per il 2023 negli Stati Uniti sia una brusca recessione, sia la scampata recessione.

Da un lato la curva dei rendimenti appare in questi giorni invertita al massimo dal 1981 (i rendimenti a due anni sono arrivati a stare 87 punti base più in alto di quelli decennali), segnalando proprio il rischio di una pesante caduta dell’economia. Dall’altro, però, le Borse americane salgono con  Wall Street che guadagna il 7,5% dall’inizio dell’anno.

Gli economisti ormai prevedono che gli Stati Uniti eviteranno la recessione. Il Fondo Monetario, per fare un solo esempio, ha appena alzato le stime sul Pil Usa del 2023 dall’1% all’1,4%. La media delle previsioni per il 2023 negli Stati Uniti calcolata da Bloomberg segnala un +0,5% nel 2023. Goldman Sachs ha ridotto le probabilità di recessione al 25%.

In effetti gli ultimi dati economici confermano le previsioni rosee. Il tasso di disoccupazione a gennaio è sceso al minimo dal 1969. L’indice Ism è sopra la soglia di 50, segnalando espansione economica. Anche l’indice di fiducia delle famiglie, misurato dall’Università del Michigan, è tornato al massimo dal gennaio 2022. Gli indizi lasciano dunque intendere che la recessione - al netto di imprevisti - potrebbe essere evitata anche se la Fed fosse costretta a insistere nel rialzo dei tassi per fare scendere l’inflazione.

Per fare capire che comunque la fase è piena di incertezze, sempre Il Sole 24 Ore due giorni fa ha riportato i tre pareri diversi di tre autorevoli economisti. Secondo Antonio Cesarano, Chief global strategist di Intermonte, ha ragione la curva dei tassi. A suo giudizio i consumi subiranno il colpo dei rialzi dei tassi Fed perché il credito inizierà a calare.

Alberto Gallo, Cio di Andromeda Capital Management, sostiene invece che la curva dei tassi sbaglia. I motivi a suo avviso sono tanti. Le condizioni finanziarie si stanno già allentando, se si considera che la Borsa sale e gli spread dei bond sono scesi molto - osserva -. Inoltre il Governo Usa sta continuando a sostenere l’economia e i consumatori, secondo i dati della Fed, hanno tutt’ora un eccesso di risparmio pari a 1.600 miliardi di dollari. A suo avviso, dunque, il pericolo è se mai il ritorno dell’inflazione: di conseguenza la Fed dovrà alzare i tassi di più e più a lungo del previsto.

A metà strada si colloca Andrea Delitala, Head of investment advisory di Pictet Am. Non è semplice dire oggi chi abbia ragione, dice l’economista. Da un lato è difficile che l’inflazione se ne vada via da sola senza danni come sostengono molti ottimisti, ma dall’altro è anche difficile che arrivi una recessione così pronunciata come lascerebbe intendere la curva dei rendimenti. L’economia attualmente sta reggendo bene e l’inflazione sta calando, ma resta l’incognita del mercato del lavoro e del sentiero dei tassi. Conclude Delitala: darei più ragione a chi vede minori probabilità di recessione, ma la partita è ancora aperta.

Disclaimer:

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Responsabile Soluzioni di Investimento ed Analista Tecnico


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