Social Media? Roba vecchia, il futuro è nel Metaverso

Gli ultimi dodici mesi sono stati pesanti per l’S&P500 di Wall Street (-12%), terribili per il Nasdaq (-22%), orribili per le società dell'ambito social media. 

Meta Platforms , di gran lunga  la più grande, ha più che dimezzato la sua capitalizzazione (-58%), il titolo è intorno sui livelli di cinque anni fa. 

Non si tratta di un caso isolato e non sono soltanto gli effetti del rialzo tassi che penalizza di più i tech, c’è un problema sui fondamentali: Snap , che ha perso l’86% negli ultimi dodici mesi, la scorsa settimana ha annunciato che taglierà un quarto dei dipendenti. Se Twitter ha perso meno (-40%) è perché resta aperta la possibilità che Elon Musk ci ripensi e torni alla carica con una nuova offerta.

Che sta succedendo alle ex superstar del Nasdaq? Brian Weiser, un analista di Pivot Research citato in un articolo di Barron’s di due giorni fa, spiegava che le società del mondo social sono sempre meno dei soggetti dell’innovazione tecnologica e sempre di più dei meri raccoglitori di pubblicità legati all’andamento del ciclo economico. 

In più, ci sono le attenzioni di governi e dei soggetti di vigilanza sulla privacy. Questa settimana, riferisce il Guardian, a Meta Platforms è arrivata una multa di 405 milioni di euro per aver consentito a utenti dai 13 ai 17 anni di gestire business account su Instagram che mostravano i loro numeri di telefono e i loro indirizzi email, in violazione della normativa europea per la protezione dei dati (Gdpr).
La sanzione è stata inflitta dalla Data Protection Commission (Dpc), l'autorità irlandese del settore che agisce per conto
dell'intera UE perchè il quartier generale di Meta ha sede in Irlanda. La multa è la piu' alta comminata a Meta, dopo quella da 222 milioni di euro del settembre 2021 per "severe" e "gravi" violazioni della stessa normativa su Whatsapp.

E’ possibile che Mark Zuckerberg avesse intuito in anticipo le grane con la privacy e la progressiva saturazione del mercato della pubblicità digitale nell’autunno dell’anno scorso, al momento dell’annuncio del cambio del nome. Allora sembrò una mossa di marketing, oggi appare qualcosa di più strategico.

Nell’ottobre del 2021 la vecchia Facebook ha deciso di iniziare a separare il suo destino da quello del sito social, un cambio di business model che aggancia la società alle prospettive di quello che dovrebbe diventare il nuovo paradigma del digitale, il metaverso, o, volendo usare la denominazione degli anni novanta del secolo scorso, la realtà virtuale. 

Il colosso di borsa da 430 miliardi di dollari ha imboccato una via aperta dagli informatici/visionari già trent’anni fa, ma chi ha tentato di avanzare su questa strada nel corso dei primi due decenni del nuovo millennio, ha ottenuto ben poco. 

L’immersione nel digitale, priva del supporto di un apparato tecnologico adeguato, è rimasta molto tempo solo l’oggetto di riflessione per artisti, fanatici dell’avanguardia e pionieri delle nuove frontiere.

Le cose sono cambiate con l’ultima accelerazione delle scienze e delle tecnologie: grazie a chip più veloci e miniaturizzati, ai passi in avanti dell’intelligenza artificiale, all’estensione di Internet alle cose minute, ai dispositivi indossabili o addirittura impiantati nel corpo, l’immersione nella realtà virtuale è semplice come un tuffo in piscina.

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